Crisi del dopoguerra: riassunto

Crisi del dopoguerra in Italia: riassunto sul primo dopoguerra nella penisola. La questione fiumana, la crisi economica e politica e il biennio rosso

Crisi del dopoguerra: riassunto
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CRISI DEL DOPOGUERRA

Crisi del dopoguerra in Italia: cosa ha comportato?
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I costi economici ed umani della guerra furono molto alti per l’Italia, ma, grazie alla partecipazione a fianco dell’Intesa, si conseguirono vantaggi politici e territoriali.

Molto grave era la situazione economica causata dalle enormi spese per sostenere il conflitto, causato dal debito pubblico e dalla stampa di una nuova carta moneta. L’aumento di carta moneta provocò una svalutazione della lira cui si accompagnò l’inflazione e il costo della vita aumentò per tre volte, provocando anche forti tensioni sociali. A causa del ritorno dei soldati dal fronte aumentò la disoccupazione nelle campagne.

Bisogna però considerare anche i vantaggi della guerra che ha favorito un forte sviluppo industriale, particolarmente nella siderurgia e nella meccanica, facendo aumentare gli investimenti industriali. Si intensificò il processo di concentrazione industriale, come ad esempio la Fiat che aumentò il numero dei suoi operai.

Ma la guerra e le sue difficoltà economiche si scaricarono soprattutto sui ceti più deboli, provocando la nascita di lotte sociali, che videro protagonisti contadini e operai. Tra il 1918 e il 1920 si verificarono numerosi scioperi nelle campagne e nelle fabbriche a cui si affiancarono tumulti popolari contro il caro-vita. Inizialmente l’atteggiamento del governo italiano risieduto prima da Vittorio Emanuele Orlando e poi da Nitti fu tollerante verso le rivendicazioni dei lavoratori, che riuscirono ad ottenere il miglioramento dei patti agrari e la conquista della giornata lavorativa di otto ore.

LA VITTORIA MUTILATA

Ma la guerra aveva portato soprattutto disagi nei ceti medi, come impiegati pubblici, piccoli commercianti e artigiani che furono molto danneggiati dall’inflazione. Da qui derivò la paura di una rivoluzione ispirata al modello bolscevico. Insomma si aveva una mescolanza di difficoltà economiche causata dalla guerra che portava a vedere con invidia coloro che si erano arricchiti con la guerra. Nel paese si andò diffondendo grazie al poeta Gabriele D’Annunzio l’idea di una vittoria mutilata, perché nonostante i sacrifici italiani l’Italia non riusciva ad ottenere i compensi sperati. Infatti l’Italia lottò per ottenere la città di Fiume ma nel frattempo doveva guardarsi dalla minacciosa nascita della Iugoslavia che rivoleva i territori della Dalmazia, che l’Italia aveva ottenuto col patto di Londra. Così i nazionalisti occuparono la città di Fiume con una occupazione militare senza che il governo guidato da Nitti riuscisse ad impedire questa rivolta.

LA QUESTIONE FIUMANA

Scoppiò la Questione fiumana che fu risolta soltanto da Giolitti salito al governo nel 1920, dove firmando con la Iugoslavia il trattato di Rapallo, si assegnava all’Italia l’Istria e alla Iugoslavia la Dalmazia lasciando libera la città di Fiume. Quest’episodio mise particolarmente in luce la fragilità dello stato liberale incapace di fronteggiare gruppi di reazionari. Nell’Italia del dopoguerra i lavoratori erano organizzati sindacalmente avendo una forza numericamente più elevata ma anche una presa di coscienza dei diritti che gli spettavano.

Questo ingresso nella vita politica delle masse popolari provocò il successo del Partito popolare italiano fondato dal sacerdote Luigi Sturzo; questo partito ribadiva i punti fondamentali della dottrina cattolica: rifiuto della lotta di classe, difesa della piccola proprietà contadina e libertà di insegnamento.

LE ELEZIONI DEL 1919 E IL BIENNIO ROSSO

Le elezioni del 1919 furono le prime a svolgersi con il sistema proporzionale introdotto dai socialisti; i risultati segnarono una netta sconfitta per la classe dirigente liberale e grande successo per i partiti popolari di massa. Nel 1920 abbiamo l’occupazione delle fabbriche che pose fine al periodo di lotte contadine e operaie chiamato “biennio rosso”.

Per ragioni sia economiche che politiche l’atteggiamento degli imprenditori si era fatto sempre più intransigente, e di fronte alle dichiarazioni della Fiom, nell’agosto 1920 si attuò una serrata cioè la chiusura degli stabilimenti anche a Milano e Torino guidato da Antonio Gramsci che vedeva nei consigli di fabbrica il futuro della società. Giolitti decise di non intervenire aspettando che il tutto si indebolisse, cosa che avvenne nel giro di alcune settimane con l’arrivo ad accordi sull’aumento dei salari e della partecipazione dei lavoratori al controllo delle aziende.

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