Recensione de L'Agnese va a morire - R.Viganò
I fatti si svolgono seguendo la fabula, anche se frantumati in un susseguirsi di singoli episodi, che rendono la lettura facile e molto scorrevole. Recensione del libro (3 pagine formato doc)
Recensione del libro Recensione del libro “L'Agnese va a morire” Il romanzo “L'Agnese va a morire”, scritto da Renata Viganò (Bologna 1900-1976) nel 1949, edito da Einauidi, ha vinto il Premio Viareggio, è stato tradotto in ben tredici paesi e, naturalmente, continua ad essere pubblicato ancora oggi.
I fatti si svolgono seguendo la fabula, anche se frantumati in un susseguirsi di singoli episodi, che rendono la lettura facile e molto scorrevole. Agnese è una contadina che da una vita tranquilla accanto al marito passa dapprima ad una vita sotterranea di collaboratrice dei partigiani e poi ad una vita clandestina insieme alle truppe della Resistenza. Le vicende cominciano con la deportazione del marito di Agnese, Palita, comunista membro della Resistenza; quest'evento stravolge la vita di Agnese che viene in questo modo avvicinata al movimento della Resistenza dai compagni di Palita. Agnese diventa protagonista della vita sotterranea caratteristica del movimento "civile" della Resistenza, che operava nei villaggi e nelle città: Agnese fa la "staffetta" da un paese all'altro per portare cibo, notizie e armi. La sua vita prosegue così per circa sei mesi, durante i quali viene a conoscenza della morte del marito durante il trasporto verso i campi di concentramento. Ma un giorno un soldato tedesco, ospitato dalla famiglia con la quale Agnese e Palita dividevano la casa, uccide per gioco la loro gatta nera, simbolo del loro mondo affettivo violentato da una guerra gratuitamente crudele. La notte, con la lentezza e la solennità di un rito sacrificale, Agnese uccide il soldato spaccandogli la testa con il mitra. E così scappa e si dà alla macchia, entrando a far parte della vita clandestina della Resistenza. Agnese diventa "mamma Agnese", prepara un pasto caldo ai partigiani che tornano dalla guerriglia, controlla che vi siano provviste per tutti, condivide con loro le gioie, i dolori e la morte. Agnese, umile madre del popolo, esegue tutti i compiti "casalinghi", indispensabili nella vita clandestina; sostiene sulle sue spalle il peso di un'idea nel modo più pragmatico possibile: non c'è alcun recondito motivo alla sua partecipazione alla Resistenza, ma lo fa perché è giusto, e Resistenza vuol dire obbedire al Comandante, incarnazione reale di quell'idea, e di "fare bene", di eseguire gli ordini "se sarà buona". Le vicende che attraversano quest'altro anno raccontano la guerriglia contro i tedeschi, che rappresentano gli antagonisti veri e propri del romanzo, i nemici contro i quali bisogna combattere per non essere annientati. Gli unici "buoni" sono i partigiani, malvisti sia dalla popolazione locale, e sottovalutati anche dalle truppe alleate, schierate lungo la linea gotica, pochi chilometri più a sud, che sparano indiscriminatamente su tedeschi e partigiani pur essendo a conoscenza della presenza di questi ultimi. Dopo la disfatta del piccolo battaglione partigiano, Agnese torna a fare la staffetta, ma verrà, come sappiamo g