La forza della parola nel Decameron: saggio breve
Saggio breve letterario sulla funzione, strategia e forza della parola nel Decameron di Boccaccio (2 pagine formato doc)
LA FORZA DELLA PAROLA NEL DECAMERON: SAGGIO BREVE
Saggio breve letterario.
Le molteplici funzioni della parola nel Decameron di Giovanni Boccaccio.
Testi utilizzati:
1. Boccaccio, Decameron, Il Proemio: la dedica alle donne e l’ammenda al “peccato della fortuna”;
2. Boccaccio, Decameron, I, 1, Ser Ciappelletto;
3. Boccaccio, Decameron, II, 5, Andreuccio da Perugia;
4. Boccaccio, Decameron, IV, 1, Tancredi e Ghismunda;
5. Boccaccio, Decameron, IV, 5, Lisabetta da Messina;
Saggio breve sulla parola nel Decameron
LA STRATEGIA DELLA PAROLA NEL DECAMERON
La forza della parola. Il tema della parola è sicuramente uno dei temi più importanti del Decameron. La padronanza dei personaggi di Boccaccio nell’uso di quest’arma potente gioca all’interno dell’intreccio narrativo delle novelle un ruolo dominante. Grazie alla loro maestria, al loro uso intelligente del linguaggio molti dei personaggi boccacciani riescono a stravolgere la situazione a proprio vantaggio.
E’ il caso di Frate Cipolla e Ser Ciappelletto che abilmente conquistano i loro ascoltatori facendo credere loro cose false. La sua abilità retorica è l’elemento caratterizzante della personalità di Frate Cipolla tanto che viene paragonato a Cicerone e Quintiliano (“chi conosciuto non l’avesse, non solamente un gran retorico l’avrebbe estimato, ma l’avrebbe detto esser Tullio medesimo o Quintiliano”).
Questa sua arte è evidente nel discorso che egli pronuncia quando si accorge del fatto che nella borsa che Guccio gli porta al posto della piuma c’è del carbone. Grazie a molti giochi di parole il frate dimostrandosi una persona scaltra, pronta di riflessi, spregiudicata che approfitta dell’ignoranza del popolo per volgere l’imprevisto a suo favore. Egli riesce infatti a far credere alla gente attraverso la sua scaltra parlantina che il carbone che si è ritrovato nella sacca sia una preziosissima reliquia mandatagli da Dio. Costruendo una realtà parallela dove anche le cose più ovvie come insaccare salsicce, cuocere pani a forma di ciambella e lo scorrere dell’acqua all’ingiù sono fatti strabilianti e prodigiosi, il Frate inganna il suo vasto pubblico di ascoltatori.
LA FUNZIONE DELLA PAROLA NEL DECAMERON
Ma le funzioni della parola nel Decameron sono molteplici: oltre ad essere un mezzo per tirarsi fuori da situazioni sfavorevoli essa ha anche funzione consolatoria, è strumento di mistificazione, ribellione, è un mezzo per conseguire un tornaconto personale e anche per ingannare coloro meno abili di sé nel gestire l’ars dicendi.
La prima funzione che Boccaccio attribuisce alla parola la riscontriamo nel Proemio in cui l’autore spiega che la sua opera è dedicata alle donne che amano, che a causa del “peccato della fortuna” non possono trovare alcuna distrazione e consolazione all’infuori delle mura della loro casa. La sua opera si propone quindi come consolazione per le loro pene d’amore, come fonte di piacere, mezzo di evasione e intrattenimento.
Assai differente è il ruolo della parola in altre parti dell’opera. Nella novella di Tancredi e Ghismunda per esempio la parola della donna diventa mezzo di ribellione, di protesta, atto a difendere un diritto inestimabile quale l’amore. Ghismunda infatti, dopo essere stata scoperta dal padre con l’amante rivendica la legittimità del suo amore, bisogno naturale e primario che il padre non trovandole un nuovo marito alla morte del primo le aveva negato. Il suo lungo discorso a Tancredi dimostra che siamo di fronte ad una donna forte, fiera, dotata di notevole coraggio, dignità, desiderosa di essere protagonista attivo della sua vita. Al contrario di altre donne, quando il padre le rivela di aver scoperto la sua relazione con Guiscardo lei non cede alle lacrime ma ferma “con maravigliosa forza il viso” e con fermezza risponde al padre chiamandolo per nome.
La prima funzione che Boccaccio attribuisce alla parola la riscontriamo nel Proemio in cui l’autore spiega che la sua opera è dedicata alle donne che amano, che a causa del “peccato della fortuna” non possono trovare alcuna distrazione e consolazione all’infuori delle mura della loro casa. La sua opera si propone quindi come consolazione per le loro pene d’amore, come fonte di piacere, mezzo di evasione e intrattenimento.
Assai differente è il ruolo della parola in altre parti dell’opera. Nella novella di Tancredi e Ghismunda per esempio la parola della donna diventa mezzo di ribellione, di protesta, atto a difendere un diritto inestimabile quale l’amore. Ghismunda infatti, dopo essere stata scoperta dal padre con l’amante rivendica la legittimità del suo amore, bisogno naturale e primario che il padre non trovandole un nuovo marito alla morte del primo le aveva negato. Il suo lungo discorso a Tancredi dimostra che siamo di fronte ad una donna forte, fiera, dotata di notevole coraggio, dignità, desiderosa di essere protagonista attivo della sua vita. Al contrario di altre donne, quando il padre le rivela di aver scoperto la sua relazione con Guiscardo lei non cede alle lacrime ma ferma “con maravigliosa forza il viso” e con fermezza risponde al padre chiamandolo per nome.