Il non essere tra Parmenide e Platone

Il concetto del "non essere" di Parmenide e Platone: le differenze (8 pagine formato doc)

Appunto di xgiulietta89xx

IL NON ESSERE: PARMENIDE E PLATONE

Il non essere tra Parmenide e Platone.

Un difficile rapporto. Platone e Parmenide.  Del pensiero di Parmenide si hanno solo pochi frammenti, per altro espressi sotto metafore poetiche, di  difficile interpretazione. Ciononostante il suo principio filosofico, che da essi in qualche modo si può ricavare, ancora oggi mostra con brillante classicità tutta la sua importanza: “essere o non essere questo è il problema”.
E se Shakespeare ne fu così tanto ossessionato nell’Amleto, per Platone non dovette essere certo un problema di poco conto il tentativo di risolverlo poichè, da come ci dice nel Sofista, fu costretto a schierarsi contro “il grande Parmenide”[1], commettendo il famoso parricidio filosofico.   
Il tentativo di Platone non era finalizzato alla pura comprensione della filosofia eleatica, bensì alla protezione della propria, visto che il tema dominante di Parmenide oltre a paralizzare lo scorrere della realtà, risultava difficilmente attaccabile.

Parmenide: pensiero filosofico

ESSERE ED ESISTERE

Sulle orme di Parmenide.  Nel frammento 2 Parmenide indica  due vie di ricerca come le “sole pensabili”[2].

La prima ha per oggetto l’essere, o meglio ancora cio’ che è, la verità; la seconda il non essere, “ ciò che non è e non è possibile che non sia”, illustrata come un “ sentiero del tutto inindagabile”[3] in quanto “ il non essere né lo puoi pensare( non è infatti pensabile), né lo puoi esprimere perché “ il pensare implica l’esistere[del pensato]”[4], e ciò che non è  , non esistendo, non vi può rientrare.
Un rovescio della medaglia che Emanuele Severino con solenne lucidità così illustra: “ Parmenide, negando il divenire dell’essere, non solo ha evocato per la prima volta il senso dell’eternità dell’essere, ma ha evocato anche il suo avversario. L’avversario autentico del pensiero di Parmenide si presenta  cioè per la prima volta , in modo esplicito, all’interno di questo stesso pensiero.”[5] Come dire che solo con la rivelazione di Dio, si palesa al contempo la presenza del demonio.

IL NON ESSERE COME DIVERSO PLATONE

Un’interpretazione complessa.  Mario Untersteiner nella sua introduzione ai frammenti di Parmenide descrive la Doxa, senza esitazioni, come “il reale nella temporalità”[6], affiancando ad essa la Aleqeia come un mondo eterno, e sottolineando il particolare rapporto tra di loro: “La Doxa e l’Aleqeia di Parmenide stanno in  modo indubbio sulla medesima e unica via che comprende la temporalità e l’atemporalità […] perciò i due mondi […] sono complementari e del pari necessari”[7]. Untesteiner pare dunque non voler tanto sottolineare il contrasto tra le due vie, che pure è presente tra temporalità e eternità, quanto trarre la continuità espressa da entrambe, come lui stesso dichiara nelle ultime righe della sua introduzione: “Credo ormai evidente che la Doxa di Parmenide è concepita dal filosofo come la temporalità  del reale di fronte all’atemporalità dell’eon nell’Aleqeia e che tutte e due ‘sono’ nella odos, h estin."