Tesina di maturità sulla follia

Tesina di maturità sulla follia: il mistero tra genio e malattia. Collegamenti interdisciplinari in italiano, storia dell’arte, filosofia e storia

Tesina di maturità sulla follia
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Tesina di maturità sulla follia: introduzione

Tesina di maturità sulla follia
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Il tema della follia ha da sempre incuriosito e spaventato gli uomini i quali si sono preoccupati di isolare il fenomeno al fine di tutelare la propria tranquillità e sicurezza. Ma che cos’è la follia? Forse è qualcosa che tutti noi possediamo nel nostro inconscio. La follia ci aiuta ad affrontare il nostro Io e a tirar fuori la parte più creativa di noi stessi. Il folle, quindi, può esprimere una realtà che agli occhi di persone “normali” può apparire distorta soltanto perché non è una visione comune. Basti pensare ad un artista che esprime le proprie sensazioni ed emozioni in maniera disorganizzata e confusionale. È possibile, dunque, considerare la follia come causa determinante del genio?

Nel “De tranquillitate animi”, Seneca scrisse: “Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit”, cioè “Non è mai esistito ingegno senza un poco di pazzia”.

Storia della follia

Pirandello sosteneva che la follia fosse una maschera attraverso cui l’uomo si liberava dalle costrizioni della società. Ma nel corso della storia dell’umanità fu considerata in diversi modi:

  • nell’antichità essa era la massima punizione divina;
  • nel Medioevo, in accordo con la cultura mistica del tempo, la follia fu concepita come “possessione” da parte del demonio e il rimedio era l’esorcismo o la distruzione del “posseduto” per eliminare il maligno dal corpo nel quale si era insinuato per compiere malefizi;
  • nel Settecento, l’epoca dei lumi, la follia fu interpretata come disturbo della ragione e le cure consistevano in pratiche fisiche per ripristinare una sana volontà;
  • alla fine dell’Ottocento, la follia iniziò ad essere concepita come una malattia. Tuttavia era considerato solo il suo aspetto organico e il paziente fu sottoposto a nuovi trattamenti, quali l’ipnosi e l’elettroshock.

Si deve soprattutto a Sigmund Freud (1856-1939) il tentativo di affrontare in altro modo il disturbo mentale, prestando attenzione al funzionamento della psiche del paziente.

Sigmund Freud

Freud studiò la follia come malattia mentale, attraverso la psicoanalisi, e trovò nella mente umana delle dimensioni psichiche inconsce che determinano la formazione della personalità. In particolare dopo il 1920, per descrivere la psiche, Freud utilizzò una struttura costituita da tre istanze che influenzano il comportamento:

  • l’Es, che è l’insieme di tutti gli istinti e agisce secondo il principio del piacere;
  • l'Io, che è la parte organizzata della personalità e agisce secondo il principio di realtà;
  • il Super Io, che è la coscienza morale e razionale, è l’insieme delle proibizioni interiorizzate nei primi anni di vita, che si sviluppa per il controllo sociale del comportamento.

Secondo Freud la personalità è equilibrata quando le tre parti si integrano e si completano senza che una parte prevalga eccessivamente sulle altre. Infatti, nel momento in cui una delle due parti (Es o Super Io) prevale in maniera eccessiva sull’altra, il nostro comportamento può apparire irrazionale e privo di logica.

I manicomi

Nonostante con Freud si iniziò a considerare i malati mentali come veri e propri malati, spesso essi continuavano a venir rinchiusi in particolari case di cura, i manicomi. Un tipo di cura utilizzata era l’elettroshock, che per quanto cruento aveva una base scientifica: il nostro sistema nervoso centrale funziona in conformità a meccanismi neurotrasmettitoriali che creano nei neuroni dei potenziali elettrici. Somministrando una scossa elettrica, si presupponeva di ottenere un risultato analogo a quello di un neurotrasmettitore. Inoltre, ai ricoverati, chiusi in strutture manicomiali già di per sé emarginate e isolate come delle prigioni, era impedito di avere contatti con l’esterno ed erano privati di qualsiasi tipo di rapporto umano. Ciò determinava un peggioramento col tempo, provocando deterioramenti mentali e fisici.

L’eutanasia

Si può dire che il manicomio sia nato dall’idea di preservare la purezza del genere umano e quindi dal concetto di eugenetica, molto diffuso agli inizi del Novecento: Hitler fece leva su questo ideale e progettò un programma di eutanasia. L’eutanasia, letteralmente “buona morte”, consiste nel procurare intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità di vita è compromessa da una malattia, una menomazione o una condizione psichica.

Il programma nazista di eutanasia prende il nome di Aktion T4 e prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili o da malformazioni fisiche, cioè delle cosiddette “vite indegne di essere vissute”. Nel suo Mein Kampf, Hitler espose, oltre al programma antisemita, anche questa idea di eutanasia e, una volta preso il potere, venne discussa la Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie, che stabiliva la sterilizzazione forzata di questi individui.

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale permise ad Hitler di portare avanti l’Aktion T4, sostenendo che i malati, anche se sterilizzati, continuavano a necessitare di cure e occupavano spazi e risorse che avrebbero potuto essere utilizzati per i soldati feriti o per gli sfollati delle città bombardate. Fu così preparata una campagna propagandistica. Ci fu inoltre un’estensione di questo programma nei campi di concentramento: nel 1941 Himmler ordinò che i prigionieri affetti da malattie mentali fossero sottoposti a controlli medici e chi non risultava in grado di lavorare sarebbe stato eliminato. I selezionati dovevano essere inviati nelle cliniche di eliminazione ed essere uccisi col gas. L’intera operazione prese il nome di Aktion 14F13.

Franco Basaglia

Il 1971 è una data molto importante per le istituzioni manicomiali italiane: è l’anno in cui Franco Basaglia assunse la direzione dell’ospedale psichiatrico di Trieste. Egli voleva migliorare i trattamenti e le condizioni dei malati mentali, iniziò quindi una serie di trasformazioni e con l’apertura dei reparti vennero soppresse le terapie di shock e tutti i sistemi di contenzione fisica. La vita comunitaria dell’ospedale iniziò ad animarsi di numerose iniziative e aumentarono le uscite in città dei pazienti.

Nel primo reparto vuoto si organizzò un laboratorio d’arte, dove fu costruito Marco Cavallo, un grande cavallo azzurro di legno e cartapesta, che nel febbraio del 1973 venne portato per le vie di Trieste in testa a un corteo di operatori, pazienti, artisti e cittadini.

Le prime strutture finalizzate al supporto dei pazienti dimessi, i cosiddetti Centri di salute mentale (Csm) vennero attivati tra il ’75 e il ’76. Il 13 maggio 1978 fu approvata la legge 180 che decretò il graduale superamento degli ospedali psichiatrici. Nel novembre del ’79 Basaglia lasciò Trieste per recarsi a Roma e il nuovo direttore, Franco Rotelli, ebbe il compito di chiudere definitivamente l’ospedale psichiatrico. Dopo un periodo di transizione, il 21 aprile 1980 l’amministrazione provinciale dichiarò con una delibera che l’ospedale psichiatrico di Trieste “poteva cessare dalle sue funzioni e quindi essere soppresso”.

Storia dell'arte

L'Urlo di Munch
Fonte: ansa

Prima dell’intervento di Basaglia, l’ospedale psichiatrico di Trieste ospitò un particolare artista: Vito Timmel, uno dei maggiori esteti giuliani. La sua pittura inizialmente indirizzata verso modelli del verismo italiano, rivisitati secondo uno stile post-impressionista di scuola tedesca, si volse al simbolismo e allo stile secessionista. Timmel decodificò i messaggi di Klimt e li interpretò a modo suo, in maniera altrettanto ornamentale e simbolica, ma spesso le sue creature sono femminili nel corpo sinuoso, ma nella durezza del volto hanno lineamenti maschili; il pittore aveva una visione ironica e utilizzava elementi grotteschi.

Col passare degli anni, Timmel accentuò l’aspetto simbolista della sua arte, soprattutto per quanto riguarda i soggetti e i contenuti dei suoi dipinti. Ma negli anni Trenta, deluso dalle vicende amorose, la sua salute psichica si aggravò e Timmel abbandonò l’attività espositiva, continuando però a dipingere le sue visioni incantate e irreali e personaggi puramente spirituali.

Le amnesie, che lui chiamava “nostalgie”, divennero sempre più frequenti e il 5 novembre 1945 fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico, dove morirà nel 1949.

Nel corso della storia, molti artisti furono considerati folli: ad esempio, per restare nel periodo del simbolismo, si ricorda Edvard Munch, che soffriva di attacchi di panico. Emblema di questo suo stato è “L’Urlo”, un dipinto che si rivolge all’inconscio: è un’interpretazione psicologica che coincide con il contenuto rappresentato, cioè un uomo fisicamente stravolto nelle sembianze da un terrore cieco che lo sconvolge interiormente, ed esprime la solitudine individuale. L’urlo, però, non ha alcuna funzione liberatoria e consolatoria, resta invece solo un grido muto, inavvertito dagli altri. Emerge quindi la tematica dell’incomunicabilità.

Claudio Magris

L’autore triestino Claudio Magris analizzò la follia attraverso la figura di Vito Timmel: nel suo libro “La mostra”, egli scrive che la follia è entrata nel nostro linguaggio, non è più quell’esteriorità che non ci riguarda se non come deviazione, come orribile contrario; essa è linguaggio che parla di sé, è cioè linguaggio esoterico. In quest’opera, Magris immagina l’allestimento di una mostra di quadri di Timmel dopo la sua morte e la vicenda, priva di una logicità cronologica, si snoda unendo nel dialogo fasi temporalmente diverse della biografia e del percorso interiore dell’artista triestino.

Il nodo cruciale del testo è il tema delle due donne della vita di Timmel: il pittore avverte sollievo all’annuncio della mortale malattia della moglie ed è proprio questo il mistero di un essere che si è da tempo incamminato in un percorso verso l’autodistruzione, che nel senso di colpa e nell’incapacità annienta le proprie energie intellettuali prima con l’alcol e poi con la pazzia.

Conclusioni

In conclusione, ai giorni nostri il pazzo non è più discriminato: infatti quella patologia psichiatrica che coinvolge l’essere umano nei suoi comportamenti e nei suoi pensieri è riconosciuta come una malattia e chi ne soffre viene curato e assistito. Tuttavia, come disse il filosofo Foucault, ripreso poi da Magris: “Forse un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia. La sua figura si sarà racchiusa su se stessa non permettendo di decifrare le tracce che avrà lasciato”.

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