Monachesimo Occidentale e San Benedetto: riassunto

Monachesimo Occidentale e San Benedetto: riassunto della regola di san Benedetto da Norcia, il significato di monachesimo e i grandi centri di cultura

Monachesimo Occidentale e San Benedetto: riassunto
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Monachesimo: nascita e significato

Monachesimo Occidentale e San Benedetto: riassunto
Fonte: ansa

Il monachesimo nacque in Oriente. A partire dalla fine del III secolo, alcuni cristiani del Medio Oriente e dell’Egitto decisero di allontanarsi dalle città e dai centri abitati. Ritenevano che la solitudine permettesse di seguire fino in fondo l’insegnamento evangelico, per questo furono chiamati monaci (dal greco mόnos, solo, unico). Il monachesimo consiste quindi nella scelta di abbandonare la vita comune per dedicarsi completamente alla vita religiosa.

Alcuni monaci andarono a vivere nel deserto o in luoghi inospitali, in completa solitudine: erano chiamati eremiti (dal greco èremos, deserto) o anacoreti (colui che si ritira). Gli eremiti si dedicavano alla preghiera e facevano penitenza rinunciando a tutte le comodità, addirittura alcuni scelsero di vivere su una colonna, furono detti stiliti (dal greco stylos, colonna).

Altri invece decisero di allontanarsi dal mondo cercando la perfezione nella vita comune con altri uomini, per questo vennero chiamati cenobiti (coloro che fanno vita in comune). Vivevano in un monastero e la loro giornata era organizzata secondo delle precise regole che stabilivano orari e attività: l’insieme di queste norme costituiva la Regola.

La regola di San Benedetto

Nel corso del IV, il monachesimo, soprattutto il cenobitico, si diffuse in Europa. Solo nel VI secolo però, il monachesimo occidentale conobbe il suo principale esponente, san Benedetto da Norcia. Benedetto nacque a Norcia, in Umbria da una famiglia ricca e nobile, per un periodo visse come eremita ma poi fondò un monastero a Montecassino, nel sud del Lazio. Qui scrisse la Regola che presto venne adottata in molti altri monasteri. Secondo la Regola, a capo del monastero c’è l’abate (dal greco abbà, padre), per questo i monasteri benedettini vengono detti anche abbazie. L’abate viene eletto dai monaci stessi e resta in carica tutta la vita.

San Benedetto raccomandava ai monaci di seguire sempre le indicazioni dell’abate, dato che era “colui che in monastero fa veci di Cristo”. L’abate doveva comportarsi con la stessa severità e dolcezza che un buon padre usa con i figli, il suo compito era soprattutto quello di affidare ai monaci incarichi adeguati alle loro capacità. La sintesi adatta della Regola è “Ora et labora”, (prega e lavora). San Benedetto riteneva l’ozio assai pericoloso, ed era per questo che la Regola organizzava la giornata secondo precisi orari. Anche se era severa, la Regola benedettina era lontana dagli eccessi del monachesimo orientale.

“Ora et labora”

La preghiera occupava quattro ore al giorno, la lettura dalle due alle quattro ore e il lavoro dalle cinque alle otto. In inverno si mangiava una volta sola, in estate due, i monaci più anziani e i malati potevano mangiare carne, per gli altri questo alimento era sostituito da pesce, uova e latticini; il vino era consentito solo in una quantità limitata.

I monaci mangiavano in silenzio ascoltando un altro monaco che leggeva i brani della Bibbia o delle vite dei santi. Se dovevano comunicare tra loro, ricorrevano ad un alfabeto fatto con le mani. Anche nel resto della giornata, San Benedetto raccomandava di non parlare, perché parole e discorsi inutili possono allontanare da Dio, in più ordinò ai monaci di non considerare nulla come cosa propria. L’abbigliamento dei monaci era molto semplice, indossavano una runica con una sopravveste con cappuccio.

Il lavoro tra i benedettini

L’importanza che San Benedetto nella Regola dava al lavoro era una novità, infatti anticamente il lavoro era considerato una condanna, ed era svolto solo dai poveri e dagli schiavi. Il lavoro dei monaci doveva rendere l’abbazia autosufficiente, i monaci coltivavano campi, allevavano il bestiame, svolgevano attività artigianali. I monasteri benedettini divennero rapidamente dei centri economici all’avanguardia, i monaci seminavano nelle zone incolte, prosciugavano terreni paludosi e diffondevano tra i contadini circostanti nuovi strumenti, metodi e colture. Numerosi laici, morendo lasciavano beni e terre ai monasteri, affinché i monaci pregassero per le loro anime. I monasteri divennero così proprietari di vasti possedimenti terrieri, diventando così, oltre ad un’attrattiva religiosa, anche un’attrattiva economica per coloro che cercavano un modo per fuggire dalle difficoltà della vita quotidiana.

Grandi centri di cultura

Oltre al lavoro manuale, nei monasteri, c’era anche il lavoro intellettuale, San Benedetto, infatti, voleva che i monaci sapessero leggere e scrivere per poter comprendere al meglio la parola di Dio. Per farlo era necessario avere dei libri, e visto che la stampa non era ancora stata inventata, i manoscritti potevano essere riprodotti solo copiandoli a mano. Coloro che si dedicavano a questa attività erano chiamati amanuensi. Uno dei luoghi più importanti dell’abbazia era lo scriptorium, un vasto ambiente esposto a sud con molte vetrate per far entrare la maggior luce possibile nell’esercizio della scrittura.

Soprattutto nelle giornate invernali, gli amanuensi erano esentati dalla preghiera per sfruttare tutte le ore di luce, il loro compito, era infatti considerato un atto di preghiera e di amore perché il libro sarebbe andato a illuminare le menti e i cuori di altri uomini. Nei monasteri non si copiavano solo testi sacri, ma anche grandi opere di autori greci e latini. E’ proprio grazie alla paziente opera degli amanuensi che sono arrivati sino a noi capolavori dell’antichità greca e romana che altrimenti sarebbero andati perduti. I monasteri furono dei veri e propri archivi di cultura.

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