Riassunto sul primo dopoguerra in Italia

Riassunto sulla situazione economica e politica dell'Italia dopo la Prima Guerra Mondiale. Il primo dopoguerra, il Biennio rosso, la ricostruzione

Riassunto sul primo dopoguerra in Italia
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Il primo dopoguerra in Italia

L'Italia nel 1918
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In Italia dopo la prima guerra mondiale vi furono molte difficoltà economiche che generarono un profondo malessere sociale. La spesa pubblica era crollata e le industrie del Nord furono costrette a una riconversione produttiva, cioè al passaggio da un economia di guerra a una di pace.

Tale operazione veniva rallentata dalla caduta del tenore di vita. Lo sforzo di riconversione era anche aggravato dai problemi finanziari che affliggevano le banche italiane, queste infatti durante il conflitto avevano effettuato prestiti a medio/lungo termine e di conseguenza faticavano a recuperarli.

A tutto ciò si aggiungeva una pesante inflazione e il crollo della produzione agricola a causa dell’abbandono delle campagne da parte degli uomini che combattevano al fronte.

Questa crisi colpì la piccola e media borghesia. Ad aggravare il quadro sociale contribuì la smobilitazione di 6.000.000 di uomini chiamati alle armi all’inizio del conflitto che ora si trovavano in ruoli inferiori o addirittura senza occupazione. Questo spingeva rivendicazioni di ordine economico e sociale inasprite in primo luogo dal fatto di pretendere una più equa ripartizione della terre incolte, che erano state promesse nei duri giorni del fronte, ma che non erano poi state riassegnate con alcuna riforma agraria.

Nuovi partiti e movimenti politici

Nel dopoguerra i partiti politici furono incapaci di risolvere i problemi. Il partito liberale perdeva potere insieme a quello socialista. Fu fondato il Partito Popolare italiano da Luigi Sturzo con l’appoggio di Benedetto XV. Fece una riforma agraria e in base a essa il proprietario non era più il “padrone” ma diventava un “socio”. All’interno del Partito Socialista prevaleva una corrente rivoluzionaria-massimalista guidata da Serrati. I riformisti furono favorevoli alla collaborazione con i progressisti guidati da Turati.

In seguito si verificò una problematica legata a Bordiga e al giornale L’Ordine Nuovo, che ebbe tra i suoi esponenti Palmiro Togliatti. Questo giornale si basava su un modello di Lenin in Russia. Neppure i socialisti si trovavano preparati a questa rivoluzione, tanto meno la Confederazione generale del lavoro e quella italiana.

Benito Mussolini approfittò della situazione e riuscì ad avere l’appoggio per creare i Fasci di combattimento.

La questione di Fiume e il Biennio rosso

L’Italia non era riuscita a ottenere i territori del Patto di Londra. Alla conferenza di Parigi, l’Italia aveva riscontrato problemi con Wilson che non voleva riconoscere la Dalmazia. Per Orlando e Sonnino invece dovevano andare all’Italia la Dalmazia, l’Istria e Fiume.

Francia e Inghilterra si opposero e alla fine l’Italia non ottenne nulla. Salì al governo Nitti, che raggiunse un accordo nel quale Fiume sarebbe andata alle altre potenze. Gabriele d’Annunzio nel 1919 occupò Fiume con un governo provvisorio chiamato “reggenza di Carnaro”.

Il Biennio rosso

vennero indetti così una serie di scioperi e questo periodo venne chiamato Biennio Rosso.

I sindacati indissero uno sciopero bianco e gli altri risposero con la serrata. I lavoratori occuparono più di 600 fabbriche e ci furono varie proteste.

Nel 1920 ci fu un accordo e gli operai ottennero una riduzione delle ore ma furono indebolite le organizzazioni sindacali. Per la questione di Fiume si firmò il trattato di Rapallo, dove Fiume venne dichiarata libera in cambio della Dalmazia. D’Annunzio però non si mosse da Fiume e Giolitti mosse l’esercito.

L'ascesa del Fascismo

Mussolini nel 1919 creò le squadre d’azione che bloccavano gli scioperi e le manifestazioni. La situazione precipitò nel 1920 a Bologna, dove il governo, incapace di fermarli, si disinteressò di ciò che stava accadendo.

Giolitti per risanare il bilancio fece delle riforme e nel 1921 indisse nuove elezioni. I risultati di queste ultime consacrarono l’ascesa del fascismo. A Roma venne fondato il Partito nazionale fascista.

Cadde il ministero Giolitti e formarono un nuovo governo con Bonomi e poi Facta. Mussolini dichiarò di voler arrivare al governo con la forza. Il 26 ottobre 1922 Mussolini fece la Marcia su Roma per il potere e Facta si preparò ai fascisti che si erano uniti in un “quadrumvirato” formato da Bianchi, Balbo, De Vecchi e De Bono. Facta proclamò lo Stato d’assedio ma Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare e invitò Mussolini a formare un nuovo governo.

La costruzione del regime

Mussolini formò un governo di coalizione. Inizialmente lasciò liberi la stampa e i partiti, dichiarando che lo Statuto Albertino non sarebbe stato toccato, ma in realtà continuava ad appoggiare gli squadristi, cosa che rafforzò un opposizione antifascista.

Mussolini aveva intenzione di privare il parlamento del potere e fondò il Grande Consiglio del fascismo: limitò così i poteri trasformando le squadre in Milizia volontaria per la sicurezza. Mussolini decise di indire nuove elezioni nel 1924. Fece votare la legge Acerbo che assicurava la maggioranza parlamentare.

Mussolini aveva la certezza di ottenere i consensi per tre ragioni:

  • clima di violenza
  • appoggio dei politici
  • brogli, che Giacomo Matteotti denunciò, venendo assassinato per questo.

L’opposizione abbandonò la Camera e il 27 giugno 1924 vi fu la secessione dell’Aventino, che però non ebbe le conseguenze sperate: i partiti non si misero d’accordo, il fascismo godeva di molti appoggi e non vi erano deputati dell’opposizione.

Mussolini rimise in moto le squadre d’azione e limitò la libertà di stampa e con il discorso alle camere del 3 gennaio 1925 preannunciò la dittatura e il partito di regime.

Il primo dopoguerra e il Biennio rosso: l'audiolezione

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