Lettere di Plinio a Tacito: traduzione
Traduzione in italiano di due lettere di Plinio il Giovane a Tacito (4 pagine formato doc)
LETTERE DI PLINIO A TACITO: TRADUZIONE
Le due lettere scritte da Plinio il Giovane allo storico Tacito.
25 anni dopo l’eruzione del 79 d.C. che descrivono l’evento, sono considerate il primo articolo giornalistico di un disastro naturale. Plinio il Giovane, divenuto avvocato e poi senatore, era il nipote di Plinio il Vecchio, famoso uomo di scienze e naturalista nonché comandante della flotta romana di Baia (vicino Pozzuoli, Golfo di Napoli) morto durante la catastrofe per accorrere in soccorso di amici.Lettere di Plinio il Giovane a Tacito
Da “Lettere a Tacito, 104 d.C.”
Prima Lettera:
Caro Tacito,
mi chiedi di narrarti la morte di mio zio per poterla tramandare ai posteri con maggiore esattezza. Te ne sono grato giacché prevedo che la sua fine, se narrata da te, è destinata a gloria eterna. Benché infatti egli sia perito in mezzo alla devastazione di bellissime contrade assieme ad intere popolazioni e città, in una memorabile circostanza, quasi per sopravvivere sempre nella memoria, e benché egli stesso abbia composto molte e durevoli opere, tuttavia alla durata della sua fama molto aggiungerà l’immortalità dei tuoi scritti. Ben io stimo fortunati coloro ai quali per dono divino è dato di fare cose degne di essere narrate o di scriverne degne di essere lette. Fortunatissimi poi coloro ai quali è concesso l’uno e l’altro. Fra costoro sarà mio zio in grazia delle sue opere e delle tue. Perciò tanto più volentieri imprendo a compiere ciò che desideri, anzi lo chiedo come un favore. Egli si trovava a Miseno e comandava la flotta. Il nono giorno prima delle calende di Settembre verso l’ora settima (24 Agosto ore 13), mia madre gli indicò una nube insolita per grandezza ed aspetto. Egli, dopo avere preso un bagno di sole e poi di acqua fredda, aveva preso a letto un piccolo pasto a stava ora studiando; chiese i calzari e salì ad un luogo dal quale si poteva veder bene quel fenomeno.
Lettere di Plinio il Giovane a Tacito: traduzione
LETTERE DI PLINIO A TACITO: RIASSUNTO
Una nube si innalzava (non appariva bene da quale monte avesse origine, si seppe poi dal Vesuvio), il cui aspetto e la cui forma nessun albero avrebbe meglio espressi di un pino. Giacché, protesasi verso l’alto con un altissimo tronco, si allargava a guisa di rami perché ritengo, sollevata dapprima da una corrente d’aria e poi abbandonata a se stessa per il cessare di quella o cedendo al proprio peso, si allargava pigramente. Talora bianca, talora sporca e chiazzata a causa del terriccio e della cenere trasportata. Il fenomeno apparve all’eruditissimo uomo, grande e degno di essere osservato più da vicino. Ordinò quindi di allestire un battello liburnico: mi permette, se lo voglio, di andare con lui; gli rispondo che preferisco rimanere a studiare , anzi per avventura lui stesso mi aveva affidato un compito. Stava uscendo di casa quando riceve un biglietto da Retina, moglie di Casco, spaventata dal pericolo che la minacciava (giacché la sua villa era ai piedi del monte e non vi era altro scampo che per nave). supplicava di essere strappata da una così terribile situazione. Lo zio cambiò i propri piani e ciò che aveva intrapreso per amor di scienza, condusse a termine per spirito di dovere. Mette in mare le quadriremi e si imbarca lui stesso per recare aiuto non solo a Retina, ma a molti altri, giacché per l’amenità del lido, la zona era molto abitata. Si affretta là dove gli altri fuggono, va diritto, rivolto il timone verso il luogo del pericolo, così privo di paura da dettare e descrivere ogni fenomeno di quel terribile flagello, ogni aspetto, come si presenta ai suoi occhi. Già la cenere cadeva sulle navi, tanto più calda e densa quanto più si approssimava; già della pomice ed anche dei ciottoli anneriti , cotti e frantumati dal fuoco; poi ecco un inatteso bassofondo e la spiaggia ostruita da massi proiettati dal monte. Esita un attimo, se deve rientrare, ma poi al pilota che lo esorta a far ciò esclama: ”la fortuna aiuta gli audaci, punta verso Pompoiano, un suo vecchio amico!”. Questi era a Stabia, dall’altra parte del golfo (giacché ivi il mare si addentra disegnando una curva).
PLINIO E TACITO
Quivi Pompoiano, benché il pericolo non fosse prossimo, visto che con il crescere poteva farsi imminente, aveva trasportato le sue cose su alcune navi, deciso a fuggire se il vento contrario si fosse acquietato. Questo, infatti, era del tutto favorevole a mio zio che arriva, abbraccia l’amico trepidante, lo rincuora, lo conforta e per calmare la paura di lui con la propria sicurezza, vuole essere portato al bagno; lavatosi, cena tutto allegro o, ciò che è ancor più, fingendo allegria. Frattanto dal monte Vesuvio in parecchi punti risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi, il cui chiarore e la cui luce erano resi più vivi dalle tenebre notturne. Lo zio andava dicendo, per calmare le paure, esser case che bruciavano abbandonate e lasciate deserte dalla fuga dei contadini. Poi andò a riposare e dormì un autentico sonno. Giacché la sua respirazione, resa più pesante e rumorosa dalla vasta corporatura, fu udita da coloro che adocchiavano sulla soglia. Ma il livello del cortile, attraverso il quale si accedeva a quell’appartamento, era già talmente alzato, perché ricoperto dalla cenere mista a lapilli che, se egli si fosse più a lungo indugiato nella camera, non avrebbe più potuto uscirne. Svegliato, raggiunge Pompoiano e gli altri che non avevano chiuso occhio. Si consultano tra loro se debbano rimanere in luogo coperto o uscire all’aperto. Ma se in lui prevalse ragione a ragione, negli altri timore a timore. Messi dei guanciali sulla testa, li assicurarono con lenzuoli; fu questo il loro riparo contro la pioggia. Già faceva giorno ovunque ma colà regnava una notte più scura e fonda di ogni altra, ancor che rotta da molti fuochi e varie luci. Egli volle uscire sulla spiaggia e veder da vicino se fosse possibile mettersi in mare, ma questo era ancora agitato ed impraticabile. Quivi, riposando sopra un lenzuolo disteso, chiese dell’acqua fresca e la bevve avidamente. Ma poi, le fiamme ed il puzzo di zolfo che le annunciava mettono in fuga taluni e riscuotono lo zio. Sostenuto da due schiavi si alzò in piedi, ma subito ricadde perché, io suppongo, l’aria ispessita dalla cenere aveva ostruita la respirazione e bloccata la trachea che egli aveva per natura delicata e stretta e frequentemente infiammata. Il terzo giorno ( il terzo dopo quello che aveva visto per ultimo), il suo corpo fu trovato intatto ed illeso, coperto dai panni che aveva indosso, l'aspetto più simile ad un uomo che dorme, che ad un morto. Frattanto a Miseno io e la mamma…ma ciò non importa alla storia, e tu non volevi conoscere altro che il racconto della sua morte. Faccio dunque punto. Una cosa sola voglio aggiungere: ti ho esposto tutto ciò a cui assistetti o che seppi subito, quando i ricordi sono più veritieri. Tu cavane ciò che più importa. Altra cosa infatti è una lettera, altra una storia; altra cosa scrivere per un amico, altra per il pubblico. Addio.
SECONDA LETTERA DI PLINIO A TACITO
Seconda lettera a Tacito. “Mi dici che, messo in curiosità dalla lettera che io ti scrissi a tua richiesta intorno alla morte di mio zio, ti è venuto il desiderio (come avevo cominciato ma poi interrotto) quali ansie e quali pericoli io patissi a Miseno dove ero rimasto.Benché l’animo rifugga dai funesti ricordi, inorridito comincerò. Partito lo zio dedicai tutto il mio tempo allo studio (con questo proposito ero rimasto): poi al bagno, alla cena, ad un sonno inquieto e breve. Molti giorni innanzi v’erano state, come preliminari, delle scosse di terremoto, senza però che vi ci facesse gran caso, perché in Campania sono frequenti; ma quella notte crebbero talmente da far sembrare che tutto pareva non già muoversi ma crollare. Mia madre si precipita nella mia camera; io stavo alzandomi a mia volta, per risvegliarla nel caso dormisse.