Tacito, Annales XV: versione latino
Versione dal latino di alcuni capitoli degli Annales (XV) di Tacito (3 pagine formato doc)
TACITO, ANNALES XV: VERSIONE LATINO
Tacito, Annali XV. 38. Segue un disastro, non si sa bene se per caso o per la perfidia dell’imperatore (infatti gli storici hanno riportato entrambe le versioni), ma il più grave e il più atroce di tutti i disastri che siano accaduti a questa città per la violenza del fuoco. Scoppiò in quella parte del Circo Massimo che è contigua ai colli Palatino e Celio dove il fuoco, non appena scoppiato nelle botteghe in cui c’erano merci con cui la fiamma si alimenta, e fu subito violento e, spinto dal vento, distrusse il Circo nella sua lunghezza. Infatti non c’erano in mezzo palazzi recintati che potessero servire a difesa o templi cinti di mura o qualcosa d’altro che potesse rallentare l’azione del fuoco.
Dapprima l’incendio si estese, per impeto del vento, ai luoghi pianeggianti poi, salendo sulle alture e nuovamente nel devastare le zone più in basso, grazie alla sua velocità anticipò i rimedi possibili al danno e, dato che la città gli era soggetta per le vie strette e qua e là tortuose e per i quartieri irregolari, poiché Roma è antica. Oltre a ciò, le grida delle donne atterrite, vecchi e bambini e quelli che cercavano di salvare se stessi e quelli che cercavano di salvare gli altri, mentre trascinavano i feriti o si fermavano ad aspettarli, parte che indugiava, parte che si affrettavano, erano tutti insieme d’impedimento.Opere e pensiero di Tacito: riassunto
ANNALES, TACITO
E spesso, mentre si guardavano le spalle, venivano circondati dalle fiamme di fronte o ai lati oppure, se erano fuggiti nelle vicinanze, invase anche quelle dal fuoco, anche quei posti che avevano creduti sgombri dal fuoco, trovavano nella stessa condizione. Infine, incerti su cosa evitare, dove andare, riempivano le strade e si sdraiavano nei campi; alcuni, perdute tutte le fortune, anche per il vitto giornaliero, altri, per la morte dei familiari che non erano riusciti a salvare, sebbene ci fosse aperta una via di fuga, si lasciavano morire. E nessuno osava opporsi all’incendio per le minacce frequenti di molti che proibivano loro di tentare di estinguerlo e poiché altri, apertamente, lanciavano torce accese e strillavano che avevano un mandante, vuoi per rapinare con maggiore libertà, vuoi dietro un preciso ordine.
TACITO, NERONE
39. In quel momento Nerone, che era ad Azio, non tornò in città prima che il fuoco si avvicinasse alla Domus Aurea, con la quale aveva congiunto il Palazzo ai giardini di Mecenate. E, tuttavia, non poté impedire che tanto il Palazzo quanto la Domus e tutte le costruzioni lì intorno fossero divorate dalle fiamme. Ma fece aprire, come rifugio per il popolo terrorizzato, il Campo Marzio e il Sepolcro di Agrippa e persino i suoi giardini privati e fece costruire abitazioni provvisorie per accogliervi la folla senza mezzi; e furono fatti venire generi di prima necessità da Ostia e dai municipi vicini e il prezzo del frumento fu diminuito fino a tre nummi al moggio. Tuttavia questi provvedimenti, sebbene di carattere popolare, non trovarono approvazione, poiché si era sparsa la voce che, nello stesso tempo in cui la città bruciava, Nerone avesse calcato il palcoscenico del palazzo e, in veste d’aedo, avesse cantato l’eccidio troiano, tentando di far somigliare le sventure presenti agli antichi disastri.